Fino all'Ottocento, Sasseta propriamente detto coincideva con quello che oggi è il rione de La Chiesina. Le altre frazioni erano dei nuclei abitati indipendenti: Cafaggio, La Piazza, Poggio Forestieri, I Falconi e I Fontani come si evince da una mappa catastale datata 5 agosto 1820 (vedi immagine sottostante, fonte: www.castore.regione.toscana.it). A partire dai primi decenni del Novecento, con la realizzazione della nuova strada e la costruzione della Galleria Direttissima che portarono un incremento della popolazione, le abitazioni aumentarono e sorsero, lungo il nuovo tracciato di quella che oggi è la SR 325, nuovi agglomerati di case come Il Capannone e Il Poggiolino. Ciò ha fatto sì che, attraverso un processo di aggregazione, le varie frazioni si siano riunite e abbiano formato un unico paese che ha preso il nome dall'elemento più importante, quello appunto di Sasseta.
Sasseta viene citato per la prima volta in un documento appartenente alle Carte della Badia di Montepiano, datato 13 gennaio 1136, giorno in cui il conte Bernardo Tancredi detto Nontigiova, «essendo debitore nei confronti del monastero di Santa Maria di Montepiano di 24 libbre di moneta lucchese, delle quali 20 “per iudicium quondam Cicilie comitisse” (“per un lascito della sua defunta moglie contessa Cecilia”) impegnò “mansum unum positum in loco Sasseta, et regitur per Bonizum filium quondam Teuzi, Vezzi vocati, et est infra plebem Sancti Ypoliti et Cassiani, territorio Pisstoriensi” (“un manso posto a Sasseta, tenuto da Bonizzo, figlio del fu Teuzo, detto Vezzo, e compreso nella pieve dei Santi Ippolito e Cassiano, in territorio pistoiese”). Se entro cinque anni il conte o i suoi eredi avessero restituito il denaro prestato, la Badia avrebbe annullato il valore del “pignus et cartula”. Sovente non è possibile seguire lo sviluppo di simili vicende, a causa di lacune nella documentazione. In questo caso, invece, lo possiamo fare. Il 18 luglio del 1141, scaduto il termine dei cinque anni, la contessa Orabile, che nel frattempo era divenuta moglie del Nontigiova dopo la morte di Cecilia, cedette al monastero di Montepiano, per il compenso di tre lire lucchesi, il manso (podere) posto a Sasseta che il marito, ora defunto, aveva impegnato. Molto probabilmente i conti non furono in grado di saldare il debito di 24 lire e, scaduto il termine dei cinque anni, il terreno entrò in pieno possesso della Badia, che forse volle gratificare la contessa con l’elargizione di 3 lire» (M. Abatantuono, L. Righetti 2000, pp. 87-88).
Nel 1168 viene citata, ancora in un documento delle Carte del Monastero di Montepiano, una di quelle che oggi è una frazione di Sasseta: Cafaggio. In quell'anno infatti Alberto IV degli Alberti «cede “ad possidendum proprietario iure” un uomo alla Badia di Montepiano, un certo “Ugone de la Noce” e assieme ad esso, “omnibus rebus mobilibus et inmobilibus quas ipse habet vel alii per eum que sunt posite in curte de Vernio in loco Cafaio” nei pressi della chiesa di Santa Maria di Vernio» (M. Abatantuono, L. Righetti 2000, p. 91). «Nel 1262 “domines Napuleo, Guilielmus et Alexander fratres comites de Mangone filii domini comitis Albertus… concesserunt in perpetuum Ghottolo converso et sindico monasteri Sancte Marie de Monteplano… integrum videlicet resedium … positus a Cafagio”»(M. Abatantuono, L. Righetti 2000, p. 112)
Altra menzione di Sasseta, in epoca medievale, risale al 1250, anno in cui il notaio ser Viviano redige un atto “in villa de Sasseta curia Vernii” con il quale Palmiero del fu Pietro di Mangona dona dei beni “inter vivos” al monastero “et pro converso se obtulit” (E. Lucchesi 1941, p. 223).
Nel 1276 alcuni abitanti di Sasseta si rendono protagonisti di un curioso ed interessante caso giudiziario che ci documenta la loro rilevanza politica e stretta vicinanza al potere, in questo caso agli Alberti. «Gli avvenimenti ci sono noti grazie ad una lettera che Tommaso di Ripatransone, vicario del potestà di Bologna Rizzardo di Beauvoir, invia il 24 gennaio del suddetto anno ad Alessandro degli Alberti, allora Capitano delle Montagne di Casio (carica conferitagli dal comune di Bologna per governare con pieni poteri politici, amministrativi e giudiziari il territorio montano da poco acquisito). Alcuni uomini che risiedevano a Sasseta avevano citato in giudizio davanti al conte Alessandro un certo Azzolino che veniva da Gabbiano, centro abitato della curia di Monzuno. Quest’ultimo si rese però conto che questa chiamata in giudizio sarebbe andata a tutto suo svantaggio, poiché il conte Alessandro non avrebbe certamente giudicato in modo spassionato ed imparziale la causa: gli uomini di Sasseta erano infatti suoi “fideles” (ovvero uomini di fiducia, tra i suoi più stretti collaboratori militari che appartenevano al suo clan di potere) e per di più erano “domini”, cioè anch’essi nobili! Così il povero Azzolino ritenendo, a ragione, che il conte-capitano-giudice nell’esercizio del potere avrebbe sicuramente fatto delle parzialità a svantaggio suo ed a vantaggio loro, se ne guardò bene dal presentarsi al bancum iuris, cioè al tribunale, di Casio; in sua vece mandò un procuratore, quello che oggi chiameremmo un avvocato con l’esplicito incarico di avanzare la richiesta di spostamento della causa a Bologna per un caso giuridico, che è divenuto molto famoso presso l’opinione pubblica di oggi: si trattava di legittimo sospetto. La reazione del conte-capitano-giudice fu invece durissima e tale da dimostrare che il sospetto in quel caso era davvero fondato: egli fece infatti imprigionare il malcapitato procuratore e confiscare quanto aveva con sé! Azzolino allora si rivolse al grado superiore della giustizia bolognese, rappresentato da Tommaso da Ripatransone, vicario del potestà di Bologna Rizzardo di Beauvoir, che accolse in pieno la sua istanza di legittimo sospetto ed il 24 gennaio 1276 scrisse al conte Alessandro a Casio, facendogli notare che si era assai meravigliato del suo comportamento e ordinandogli di rilasciare il povero procuratore, evidentemente ancora detenuto, restituendogli i beni confiscati e di rimettere la causa nelle proprie mani» (www.provincia.bologna.it).
Con l’acquisto del feudo di Vernio da parte dei Bardi, Sasseta divenne una delle nove comunità (corrispondenti ad altrettante parrocchie) della contea, dotata di uno stemma proprio (cinque sassi in campo rosso).
Negli Statuti di Vernio, gli originali del 1338 (oggi scomparsi), come si evince dalle "Notizie storico statistiche del territorio compreso nella giurisdizione della Potesteria di Mercatale di Vernio" del 24/11/ 1837 di A. Targioni Tozzetti (pubblicate da L. Cangioli e A. Marchi 1993) Sasseta viene indicata come sede di Parrocchia. Il dato è interessante considerando il fatto che, in tempi più recenti, Sasseta è divenuta parrocchia solo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento. Ciò ci suggerisce che il paese in quel tempo dovette godere di un’indipendenza e un’importanza maggiori rispetto a quelle che aveva in età moderna, quando si trovava sotto la Parrocchia di S. Leonardo a S. Quirico.