Nell’Alto Medioevo la zona di Sasseta, così come tutta «la montagna pratese, fu parte di una linea di difesa dei Bizantini (che nel 540-55 avevano strappato l’Italia ai Goti di Totila e Teia) a fronte dei Longobardi, entrati nel 570 nella Tuscia (così si chiamava la Toscana) attraverso il passo della Cisa. La linea (il c.d. limes) si stendeva dall’Esarcato di Ravenna (la “Romania” o Romagna) lungo l’Appennino; i nuovi invasori l’attaccarono da due lati, ma la resistenza fu tenace, finché il re Liutprando non conquistò Bologna (727-28). In questo lungo periodo di lotte di alterne fortune l’esercito imperiale bizantino costruì sui monti fortificazioni che ci sono testimoniate da toponimi di origine greca» (A. Mazzoni, C. Paoletti 1985): nella nostra area abbiamo il Castellare, il Castelluccio, Filettino (da “Filacterion” = torre di avvistamento). Stessa origine di quest’ultimo, ha il toponimo Rifiletti, sito a nord-est del valico de La Crocetta.
La presenza dei Longobardi nel territorio di Sasseta, come del resto in tutta la Val Bisenzio, fu molto più incisiva rispetto a quella dei Bizantini e forse molto più significativa di quella di altri popoli e altri personaggi che la storia può ricordare. Mancando resti archeologici attendibili (ad eccezione di alcune sepolture rinvenute nella pieve di Sant’Ippolito) alla ricerca di essi e delle loro abitudini possiamo muoverci individuandone le tracce nella toponomastica, nella lingua e nella dedicazione alle chiese più antiche.
Nel nostro territorio, toponimi di influenza longobarda sono: Cafaggio dal longobardo “gahagi” = “recinto”, La Guardia, la Bragola e i Ronchi = da runch. Nelle aree limitrofe abbiamo La Lama (sopra San Quirico), termine indicato da Paolo Diacono (“La Storia dei Longobardi”) come longobardo, il Gaggio (poggio che sovrasta l’abitato di Sant’Ippolito), Petto, Bettarello (piccola altura che sovrasta Cavarzano), Peraldaccio = “arena degli orsi” (lungo la Carigiola), Foraceca (da “forra” derivato dal germanico “furha” = “corso d’acqua”). Interessante l’origine del toponimo “Monte Pulcinese” (sopra il Casigno), cosiddetto perchè, secondo la tradizione, vi sarebbero sepolti una chioccia con vari pulcini d'oro. Tale leggenda è di chiara origine longobarda: una chioccia con cinque pulcini d'oro si conserva infatti a Pavia (capitale del popolo longobado) e rappresentano la regina Teodolinda (la chioccia) e i suoi cinque duchi (i pulcini), che governavano le varie zone conquistate in Italia. Una leggenda analoga si ricorda anche per il Monteferrato di Prato.
«Una parola, ancora in uso nella val di Bisenzio, ci riporta direttamente ai Longobardi e alla coltura del castagneto, che essi introdussero e svilupparono: le “roste”, che sono un intreccio di frasche, rami e foglie, le quali in passato venivano disposte nei castagneti in pendenza per evitare che le castagne cadendo si disperdessero e precipitassero nel possesso di proprietari confinanti.
Un discorso a parte meritano le cannicciaie, edifici per seccare le castagne, di cui sono disseminati i boschi della valle del Bisenzio (AA.VV. 1994, p. 62)». Ne troviamo esempi suggestivi in tutta la zona di Sasseta, immersi nei castagneti e vicino alle case. «Da notare che si sono individuate delle interessanti analogie tra la cannicciaia e la struttura della capanna longobarda: ad esempio, la copertura a spioventi, la finestra rettangolare sopra la porta d’ingresso, l’apertura per far uscire il fumo, che può corrispondere alla vesciatoia della cannicciaia da cui si gettavano le castagne sui canicci» (AA.VV. 1994, p. 62).
Verosimilmente i Longobardi furono il primo popolo nell’appennino pratese che si dedicò ad uno sfruttamento dei prodotti del bosco diverso rispetto a quello dei loro predecessori, a cominciare proprio dal castagneto da frutto.
San Michele era un santo che piaceva ai Longobardi perché era un santo guerriero e in qualche modo corrispondeva ai loro ideali di vita. «La Bibbia parla diffusamente di Michele Arcangelo, rappresentato con la spada fiammeggiante, mentre combatte i diavoli capeggiati da Lucifero e trascina alla vittoria gli altri angeli» (AA.VV. 1994, p. 63). Una magnifica raffigurazione è conservata nella moderna chiesa parrocchiale di Sasseta, opera di Jacopo Chimenti detto l’Empoli (vedi sez. "Arte").
Accanto alla figura di San Michele, i Longobardi ebbero una speciale predilezione per altri santi guerrieri, come San Giorgio, che è rappresentato come l’uccisore di un enorme drago, e come San Martino, costretto in gioventù a fare il soldato, ma rammentato per il suo gesto di carità nei confronti di un povero, cui donò, tagliandolo con la spada, metà del suo mantello per ricoprirsi. Nella val di Bisenzio le chiese dedicate a quest’ultimo santo sono tre (a Luciana, a Schignano e a Fabio), di costruzione probabilmente più recente rispetto alle sette dedicate a San Michele, che si trovano a Luicciana, Poggiole, Montecuccoli, Codilupo, Maglio, Grisciavola e Cerreto (località questa più decentrata rispetto al fiume e alla sua valle). Di esse occorre ricordare che a Poggiole la chiesa fu abbattuta dai tedeschi nel febbraio del 1944: il comandante che ne ordinò la distruzione prese a pretesto il fatto che gli Alleati potevano orientarsi con il suo campanile per bombardare la sottostante stazione di Vernio con l’imbocco della Grande Galleria della Direttissima. La nuova parrocchiale di Sasseta ha ereditato la dedicazione a San Michele e, assieme ad essa, lo splendido quadro di Jacopo da Empoli raffigurante il santo.