La festa principale di Sasseta è quella della Madonna della Neve che si svolge il fine settimana successivo al 5 di agosto. La celebrazione religiosa ricorda un avvenimento straordinario verificatosi, secondo la tradizione, un 5 di agosto del 1600, quando i contadini di Sasseta, mietuto il grano e sistematolo nell'aia a grandi covoni si apprestavano alla battitura. All'improvviso un violento temporale, con neve e forti venti, si abbatté sul paese: i contadini disperati temettero per il raccolto che significava pane per tutto l'anno. Cessato il temporale e la neve, fra la meraviglia di tutti, il grano era rimasto completamente asciutto e le spighe intatte. Subito si pensò ad un prodigio voluto dalla Madonna, e da allora, ogni anno, il popolo di Sasseta, riconoscente, celebra l'avvenimento con la "Festa della Madonna della Neve". Dal venerdì alla domenica si svolgono iniziative gastronomiche, giochi ed una fiera di beneficenza: le manifestazioni si concludono con una solenne processione.
La festa della Madonna della Neve di Sasseta è da ricondursi ad un culto molto diffuso in tutta Italia. "Secondo quanto narrato da vari autori cristiani, Giovanni era un ricco patrizio che viveva a Roma. Durante la notte del 4 agosto del 352 d.C. egli avrebbe visto in sogno la Vergine Maria che chiedeva di costruire una basilica nel luogo dove il mattino seguente avesse trovato della neve fresca. Giovanni, la mattina seguente, corse da papa Liberio per raccontargli quanto visto e il pontefice confessò di aver avuto la stessa visione. Il prodigio nel frattempo si era avverato e per ordine di Liberio si fece tracciare la pianta di una grandiosa basilica esattamente dove cadde la neve di agosto. Sempre secondo la storia, la basilica sarebbe stata finanziata dal patrizio stesso e prese il nome di basilica di Santa Maria della Neve (o Basilica Liberiana dal nome del Papa, popolarmente ad Nives).
Il culto sulla Madonna della Neve andò comunque sempre più confermandosi, tanto è vero che tra il XV e il XVIII secolo ci fu la massima diffusione delle chiese dedicate alla Madonna della Neve, con l'instaurarsi di tante celebrazioni locali che ancora oggi coinvolgono interi paesi e quartieri di città. A Roma il 5 agosto nella matriarcale Basilica di Santa Maria Maggiore, il miracolo viene ricordato con una pioggia di petali di rosa bianca, cadenti dall'interno della cupola durante la solenne celebrazione liturgica. Il culto, come si è detto, ebbe grande diffusione, e oggi in Italia si contano 152 edifici sacri fra chiese, santuari, basiliche minori ecc. intitolate alla Madonna della Neve. Ogni regione ne possiede una notevole quantità, in particolare concentrate su zone dove la neve non manca." (da Wikipedia)
L’origine del cantamaggio, tradizione assai diffusa nell'Italia centro-settentrionale, in specie nella Val di Bisenzio, si perde nella notte dei tempi. Evidentemente non si tratta semplicemente di un canto, ma di un rito legato alle celebrazione dei miti della fertilità della terra.
«All’interno dei culti agrari la tradizione del cantamaggio acquisisce un chiaro senso propiziatorio: . Anche in epoca cristiana i contadini continuarono a praticare quei riti pagani che interpretavano i loro sentimenti e contribuivano a placare l’ansia del domani. Sotto forma di canti di maggio nei quali era prevalente l’offerta augurale, la festa si è mantenuta nel tempo rafforzandosi con l’inserimento di altre figure di rappresentazione simbolica.
Uno di questi aspetti, soprattutto nelle comunità silvo-pastorali, è sicuramente l’albero, protagonista dell’episodio accaduto a Sasseta nella notte fra il 30 aprile e il 1° maggio 1770, come ci dimostra un documento archivistico riportato in allegato alla presente pagina (“Processo abetini”). Anche in questo caso l’usanza di piantare il “maggio”, un albero o una frasca verde davanti alle case ha un chiaro motivo propiziatorio.
Il fatto nuovo che trasformò la tradizione del maggio con l’inserimento di forme di devozione religiosa interviene all’epoca della Controriforma. Storicamente il fenomeno ha una data e un volto, se si pensa alle preoccupazioni della Chiesa nel clima di quegli anni e alla sua esigenza di incanalare in un alveo più ortodosso i riti del culto popolare tollerati fino a quel momento. Il canto del maggio era indubbiamente uno di questi: non meraviglia che si sia cercato di dargli un significato più spirituale legandolo alle manifestazioni della devozione mariana e sfrondandolo di quel senso magico e burlesco che era diventato una sua caratteristica. Possiamo subito dire che quest’ultima operazione non riuscì, dal momento che le canzoni dei maggiaioli continuarono ad essere intrise di arguzia allusiva, e perfino di spunti caricaturali: ne abbiamo una prova se si confrontano le strofe tagliate su misura per i personaggi più tipici (il curato, l’avaro, la massaia che tiene strette le chiavi della dispensa). Qui sembrano fondersi la vena satirica del mondo contadino (quella stessa che il Firenzuola rammenta parlandoci di “burletta”, un genere di rappresentazione diffuso nella tradizione rurale della Val di Bisenzio) e il gusto per la “celia, lo scherzo, il frizzo salace dei giovanotti che a veglia si scambiavano pungenti motteggi: ne abbiamo rintracciato un nitido esempio nella fonte archivistica, ricostruendo una vicenda, accaduta a Sasseta, del 1753 (vedi in fondo alla pagina “Processo burla”). La maggiolata era un’occasione per fare baldoria, un canto un po’ matto che agli acciacchi o alla tristezza non faceva pensare. Agli amici bastava un fischio per accorrere e ubriacarsi di allegria.
Le maggiolate della val di Bisenzio esprimono un particolare senso di attaccamento alla terra natìa, una sorta di fierezza per quella valle che i pastori e i boscaioli ricordavano nostalgicamente. Ancor oggi ci capita di ascoltare in Maremma l’elogio dei monti del nostro Appennino, un’immagine di verde, di frescura, di acqua limpida che si contrappone al sole bianco, alle strade polverose, agli acquitrini stagnanti del luogo dove li portava il loro lavoro. All’arsura della Maremma sembra rispondere il verso della Maggiolata Sassetina (vedi in fondo alla pagina) che dice, con orgoglio: "non per niente veniam da Sasseta / e la gente lassù si disseta / d'aria fresca, natura e di sol".
Non a caso abbiamo rammentato i pastori ed i boscaioli. C'è infatti fra i temi del cantamaggio un preciso riferimento al bosco, in particolare al faggio e al maio, il fiore giallo che annunciava l'arrivo della primavera, che ci fa ricondurre l'origine di questo cantamaggio ad una civiltà silvo-pastorale più che contadina. Il giro dei maggiaioli, di villa in villa, come si diceva anticamente, riproduce la consuetudine del viaggio propria dei pastori e, più tardi, dei boscaioli e dei carbonai.
La tradizione del maggio è riuscita a durare nel tempo, sopravvivendo agli elementi disgregatori della struttura sociale della val di Bisenzio (la Direttissima, la fabbrica) arricchendosi nel secondo dopoguerra dei contenuti politici della festa dei lavoratori».
(da L. Cangioli, A. Marchi 1993)
In questa zona, che si trova nei pressi della località Butia, secondo un'antica leggenda sarebbe sorto l’antico paese di Sasseta, distrutto in un tempo non precisato da un’imponente frana, staccatasi dalla parte più aspra e nuda del Poggio di Mezzana, detta Agreto.
A sostegno di questa leggenda possiamo evidenziare un dato che emerge dagli Statuti del feudo di Vernio del 1338. In questi, Sasseta è definito già sede di parrocchia, ma è noto che la più vecchia chiesa di Sasseta risale a non oltre il 1556. Ciò induce a pensare all'esistenza di una chiesa più antica ma risalente a non prima del 1276-1277, in quanto nella raccolta delle decime di quegli anni non è menzionata alcuna chiesa di Sasseta.
Il ricordo, tramandato dai nostri antenati e ben noto agli abitanti di Sasseta, di un antico paese sorto in località Campo alla Chiesa e scomparso a seguito di un enorme ... ha sempre suscitato in me un grande interesse.
Ho dedicato molto tempo alla scoperta di un qualche indizio che potesse dare credito a questa storia, che potesse cioè dimostrare che questo paese è effettivamente esistito.
La mia ricerca si è basata inizialmente su indagini sul campo, ma con scarsi risultati. Infatti nessuna testimonianza archeologica, fino ad oggi è emersa.
Successivamente ho esteso le mie ricerche all'analisi dei documenti storici, in particolare delle carte della Badia di Montepiano. Questo archivio, riprodotto e pubblicato in maniera più o meno completa da vari studiosi (Lucchesi 1941, Piattoli 1942, Abatatuono 2000) rappresenta una fonte imprescindibile per ogni ricerca storica sulle valli del Setta e del Fiumenta, in quanto contiene nomi di luoghi e di persone ed in quanto documenta le locali vicende sociali ed economiche dell'alto e del basso Medioevo.
Ed è proprio dall'esame di questi documenti che è emersa una prova determinante per suffragare la leggenda del Campo alla Chiesa.
Per ben quattro volte, nel corso dell'XI secolo si ricorda una località definita alternativamente con i nomi di Camvicese, Canvicise, Campucese o Campicese.
Nel 1096 il conte Ugo dei Cadolingi offre alla badia di Montepiano l'"integra ipsa parte de sorte et res illa que est infra curte de Vergno, ubi Camvicise vocatur", retta da un certo Giovanni Pecorello.
Nel 1120 il conte Tancredi detto Nontigiova "filius Alberti item comes, et Cecilia congnus, fili Arduini", stando in Vernio, donano al monastero "terre et res que sunt site a Canvicise", che già furono rette dal massaro Giovanni figlio di Teuzo, "pro dei timore et remedio animarum nostrarum et animabus bone memorie Uhicionis comitis... Dalla donazione venivano escluse le decime e le guaite che di quelle terre spettavano al conte, defunto marito della contessa Cecilia.
Nel 1154 il conte Alberto degli Alberti insieme alla contessa Orabile, sua madre, donano al monastero di Montepiano, «totum illut quod Albertus de Campucese habet et tenet per nos sive in alpe sive in cultu; excetamus illut quod nos habemus in castro de Vernio".
La località in questione appare come un vero e proprio vicus, un borgo medievale abitato - di esso si riscuotono le decime - e fortificato - in esso si trovano le guaite, le guardie.
Resta da individuare l'esatta ubicazione di questo toponimo apparentemente scomparso. Grazie ad una ulteriore donazione alla Badia di Montepiano successiva a quella del 1154 (Piattoli 1942, pag. 411) sappiamo che "Campicese" si trovava nel territorio di Sasseta ("situm in villa de Saseta").
Questo ci permette di ristringere il campo e di andare a ricercare affinità con toponimi conosciuti nei dintorni di Sasseta. Quello più vicino è senza ombra di dubbio quello di "Campo alla Chiesa" che sembra essere la naturale trasformazione di Campicese in linguaggio moderno.
La leggenda del Campo alla Chiesa sembra dunque aver trovato il suo fondamento storico: l'antico paese sarebbe realmente esistito e il suo nome sarebbe stato quello di Campicese.